Mrs. Partridge (Italian version)

“…Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?. Questo è il problema. Una sola cosa era certa: l'opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni”.
Milan Kundera

Mrs. Partridge

La signora Partridge era stata la causa, del tutto involontaria, della mia prima eccitazione sessuale.
Dovevo avere pressappoco dodici anni quando lei e suo marito vennero ad abitare di fianco a casa nostra. La incontrai per la prima volta una domenica pomeriggio, mentre sul vialetto stava scaricando i cartoni del trasloco: mi salutò con un sorriso cordiale e riprese ad andare avanti e indietro con le sue cose.
Era una signora in là con l’età, almeno ai miei occhi di ragazzino, anche se con il senno di poi doveva allora avere poco più di trent’anni. Non mi diceva niente di particolare; una donna come le altre, insignificante come potevano esserlo tutte le amiche di mia madre. Rispetto a loro era forse un po’ più in carne. Non grassa, solo rotonda. Indossava spesso jeans attillati, e i suoi fianchi li riempivano all’inverosimile, tanto che mi venne da chiedermi come facesse ad entrarci.
Fino a quando non la vidi, in un pomeriggio di prima estate, prendere il sole nel cortile  della loro casa, sul retro. Era sdraiata su un lettino, con indosso un bikini rosso a fiori; teneva in mano una rivista, appoggiata sulla gamba leggermente flessa, ed il suo corpo rilassato fu per me una vera rivelazione. Era tonda, ovunque. Gambe forti e muscolose, un addome lievemente pronunciato e soprattutto due tette gigantesche. O almeno, al tempo non ne avevo mai viste di così grosse. Mentre la guardavo di soppiatto, dalla finestra della mia camera da letto, mi chiedevo come avessi fatto a non accorgermi prima di quanto fosse straordinariamente bella. Ispirava… ispirava qualcosa, al tempo non sapevo di preciso cosa: comunque attrazione fisica; voglia di toccarla, di massaggiarle quelle cosce massicce , di sentire la consistenza di quelle braccia tornite…
Ognuno di noi ha probabilmente un immagine legata al primo sintomo di irrigidimento delle nostre parti basse, e quello fu il mio: la signora Partridge sdraiata beatamente sotto il sole.
Durante quell’estate, appena dopo pranzo, correvo nella mia camera e mi sinceravo che lei fosse ancora lì, a stimolare quelle strane sensazioni che sentivo dentro. La ammiravo quando era di pancia, con quei glutei svettanti, i polpacci all’insù ed i piedi incrociati all’altezza delle caviglie, quando era di schiena, con un braccio ripiegato sotto alla nuca, quando era su di un fianco e le sue mammelle si adagiavano pesantemente una sull’altra. Passavo ore a guardarla; fino a quando non arrivava una telefonata che la faceva tornare in casa o, nei casi più fortunati, fino a quando l’ombra degli alberi del suo giardino non ricopriva il patio. Dopo quel primo giorno, ogni cenno di saluto che mi dispensava quando la incontravo diventò per me una fonte di gioia indescrivibile. Pensai seriamente di essere innamorato.
Purtroppo quel felice periodo della mia vita durò pochi mesi. Suo marito lavorava nell’esercito, in marina credo, e un giorno si venne a sapere che era morto in un incidente, da qualche parte nel Pacifico. La signora Partridge si trasferì, e con lei ebbero termine le mie prime fantasie sessuali. Non la rividi per anni, e il suo ricordo si stemperò nella mia memoria, rimpiazzato da altre immagini, altre donne, altre storie. Fino a quel giorno, al supermercato.

Non la riconobbi immediatamente. La notai, certo, perché non si poteva fare a meno di notarla. Spingeva un carrello della spesa strapieno di generi alimentari. Litri e litri di bevande gassate, taniche di latte al cioccolato, surgelati, confezioni formato famiglia di ciambelle dolci. E lei... beh, lei era decisamente mastodontica. Era un pachiderma che si muoveva lentamente tra le corsie. Da dietro, la sua figura nascondeva completamente il carrello della spesa. Ricordo che era talmente grossa da non riuscire a passare alla corsia delle casse: così dovette mettere tutto sul banco, uscire dall'ingresso e tornare a riporre tutto quanto in grosse buste di plastica, causando tra l'altro l'evidente insofferenza degli altri clienti.
Fu lei, chissà come a riconoscermi, mentre mi stavo avviando al parcheggio.
"Ma tu sei Jason, per caso? Il figlio della signora Smith?" Mi voltai verso di lei, senza sapere cosa attendermi, e la riconobbi. Nel suo viso tondo e paffuto spiccava ancora quello sguardo vivace, quegli
occhi azzurri incorniciati dalle lunghe sopracciglia sottili.
"Signora Partridge? È lei?"
"Certo che sono io!" disse sorridendo.
"Ti trovo in forma. Sei diventato proprio un bel ragazzo: quanti anni hai adesso?"
"Venticinque, signora Partridge. Anche lei mi sembra... In forma."
"Sì, in forma... anche troppo in forma, direi." Scoppiò in una risata. Mi sentii improvvisamente imbarazzato: dissi la prima cosa, ovviamente la più stupida, che mi passò per la mente.
"Ha fatto una bella spesa. Deve avere una famiglia numerosa." Guardò il carrello.
"Oh questo è solo il primo giro: ora rientro e faccio il secondo. Tanto per non venire al supermercato tutti i giorni. E comunque vivo sola." Il suo tono di voce si fece più greve.
"Dopo la scomparsa di Martin non ho più pensato di mettere su famiglia." stemmo qualche istante in silenzio, uno di fronte all'altro.
"Comunque sto bene, grazie a Dio. E tu, cosa fai di bello?”
“Beh, per il momento veramente, non tanto.” Stavo giocherellando con il portachiavi; non so se lei lo notasse, ma non potevo fare a meno di lanciare di tanto in tanto un’occhiata alla sua figura. Era alta, più alta di come me la ricordassi, forse sei piedi, ma la sua imponenza la faceva sembrare ancora più alta. Indossava un largo prendisole con le spalline, da cui spuntavano due spalle rotonde e braccia grosse come pagnotte; le mani in confronto sembravano esageratamente piccole, come quelle di una bambina. I suoi seni erano cresciuti a dismisura, fino a diventare come due grossi cocomeri, e dall’abito, al di sotto del ginocchio, due polpacci larghi come due volte le mie cosce. Ma ciò che lasciava stupiti più di ogni altra cosa erano i suoi fianchi: erano larghi, tanto da non credere che potessero essere veri. Tutto il suo corpo era pieno e levigato. Nessun segno di ossa; sparite le clavicole, i gomiti erano appena due piccole infossature nelle braccia.
Ero strabiliato. Dalle sue dimensioni, e dal cambiamento che aveva fatto in quei tredici anni. Eppure, chissà perché, mi tornò subito alla mente quella sensazione viscerale di eccitazione che provavo da ragazzino nel vederla sdraiata sotto il sole. Il suo sorriso mi provocava ancora una forte, piacevole fitta allo stomaco. Risposi distrattamente.
“Beh, per il momento non tanto. Faccio il fattorino per una pizzeria, da qualche mese. Aspetto tempi migliori, diciamo.”
“Cosa fai, consegne a domicilio?”
“Esatto: giro per la città con un furgoncino a portare le pizze a casa della gente.” Guardai il suo carrello strapieno.
“Tra l’altro le nostre sono molto più buone.”
“Come, scusa?” Indicai la pila di pizze surgelate.
“No, dicevo che le nostre pizze sono molto più buone di queste dei supermercati. E arrivano calde e fumanti, proprio come appena uscite dal forno.”
“Beh, allora devi darmi il tuo numero di telefono; io adoro le pizze.” Ricambiai il suo sorriso.
“Più che volentieri: anzi, se permette il primo giro glielo offro io volentieri.” Si mise a ridere fragorosamente.
“Sai tu, con una pizza… ma, per curiosità, quando finisci le consegne non ti rimangono un po’ di pizze invendute?”
“Altro ché: gente che non si fa trovare a casa, scherzi telefonici del cazzo, gente che all’ultimo momento non trova i soldi per pagarti…”
“Allora facciamo così: ti lascio il mio numero di telefono e il mio indirizzo, e quando hai finito il tuo giro mi chiami, e io ti compro tutte le pizze che ti sono rimaste a metà prezzo. Cosa ne dici?”
“Mi sembra un ottimo affare. Ma il primo giro glielo offro volentieri, in ogni caso.”
“Bene, affare fatto.” Aprì l’automobile, un grosso fuoristrada, e dal cruscotto prese carta e penna. Mi segnò indirizzo e numero di telefono e me lo porse, tendendomi contemporaneamente la mano destra. La strinsi, in segno si saluto. La sua presa era salda e forte; tenne la mia mano nella sua per un attimo in più, guardandomi negli occhi.
“Mi raccomando Jason, ci conto. Anche stasera, se vuoi.”
“Sicuramente, Signora Partridge. A stasera, allora.” La salutai e rimasi a guardarla mentre si avviava dondolando verso l’ingresso del negozio. Lessi il biglietto: 31 Alcott Drive.

Non avevo pensato nemmeno per un attimo di andare veramente da lei, a fine serata, per recapitare tutte le pizze rimaste. Dopo sei ore passate in giro per la città sarei andato a casa, mi sarei fatto una bella doccia e avrei telefonato a Barbara, chiedendole se avesse voglia di compagnia per quella notte.
Eppure, mentre giravo per le strade alla ricerca degli indirizzi dei clienti, il pensiero di Mrs. Partridge crebbe nella mia testa fino a diventare un chiodo fisso. Iniziai ad immaginarla stesa sul divano, magari con una semplice sottoveste addosso, sorridente come sempre. Più ci pensavo, e più sentivo un brivido strano per il corpo. E dopo mezzanotte, il pensiero che cercavo di rimuovere dalla mia testa era diventato una certezza: feci l’ultima consegna e mi diressi verso Sud, dall’altra parte della città.

Abitava in un quartiere residenziale: tante villette tutte uguali, un po’ come quelle in cui abitavo da ragazzino. Scesi dal furgone, presi i cartoni rimasti e mi avviai per il vialetto, verso la porta di ingresso. Suonai, rendendomi conto che non avevo nemmeno anticipato il mio arrivo con una telefonata.
"Vieni pure, la porta è aperta." Entrai in un piccolo
ingresso, e da lì al soggiorno che si apriva alla mia destra. Lei era lì, semisdraiata su di un gigantesco divano, quasi un letto a due piazze con lo schienale. Non indossava una sottoveste, come avevo immaginato, ma una larga tunica nera. Era una grossa figura informe, adagiata su un grosso divano. Il televisore era acceso, e il tavolino di fronte a lei era colmo di cartoni di un take away cinese. Mi sorrise, in segno di benvenuto.
"Appoggia pure tutto sul tavolo." Sembrava molto presa da quello che stavano trasmettendo, così entrai nella sala ed obbedii. Mi guardai attorno: alla mia sinistra vi era un'ampia cucina comunicante; appoggiai i cartoni della pizza.
"Non dovrebbe lasciare la porta aperta a quest'ora, signora Partridge." Mi parlò senza staccare gli occhi dallo schermo.
"Oh, ma la gente mica lo sa che è aperta."
"Già, ma avrebbe potuto entrare qualcun'altro al posto mio. Non ho nemmeno avvertito che stavo arrivando."
"Ho una certa esperienza circa gli orari delle consegne a domicilio. E poi sapevo che saresti venuto."
"Sapeva?" Solo allora alzò lo sguardo su di me.
"Certo. Mi hai sempre dato l'idea di essere un bravo
ragazzo." Si alzò a fatica puntellandosi con le braccia, e mi venne incontro: guardò i cartoni impilati.
"Allora come è andata stasera?"
"Da schifo. Almeno dal mio punto di vista. Otto pizze non consegnate."
"E le addebitano a te?"
"Oh no, ci mancherebbe altro! Di solito le riporto al negozio e il giorno dopo le riscaldano e le riconsegnano come se fossero appena fatte. Anche se non dovrei dirlo…"
Iniziò ad aprire le scatole, mentre me ne stavo impalato con le mani in mano.
"Margherita, margherita, funghi, margherita... non un granché. Vediamo se ho qualcosa per renderle un pò più appetitose." Aprì un enorme frigo e ne tirò fuori qualche vaso da mezzo chilo di salsa e un vassoio colmo di spesse fette di salame. Poi prese un largo piatto, iniziando ad impilarle una sull'altra e buttandoci in mezzo ciò che aveva trovato. Ne fece praticamente una grossa torta salata, alta quasi una spanna: la infilò nel microonde e dopo qualche secondo la ripose sul tavolo. Con un largo coltello la tagliò in otto parti, e infine la guardò soddisfatta, con le mani posate sui fianchi.
"Ecco, così dovrebbe andare. Tu hai mangiato, Jason?"
"Si, già fatto signora Partridge." Mi fece un cenno con la mano in direzione della cucina.
"Allora bevi almeno qualcosa: deve esserci ancora della birra in frigo." Presi due bottiglie e le posai sul tavolo. Ci sedemmo uno di fronte all'altro: versai la birra in due bicchieri e rimasi ad osservarla.
Aveva iniziato a mangiare la prima fetta, e la divorò in poco meno di un minuto. Muoveva le mandibole lentamente, tanto che non sembrava nemmeno masticare il cibo: finiva una porzione e buttava giù un mezzo bicchiere di birra. Avrei voluto dire qualcosa, tanto per rompere il silenzio di quei minuti, ma ero incantato nel vederla divorare tutta quella roba così velocemente. Un pò come la sensazione disgustosa e ipnotizzante che si prova nel vedere un serpente che inghiotte un topo. E comunque lei non pareva interessata a nessun tipo di conversazione: era totalmente dedita a buttare giu tutto ciò che vi era nel piatto. E lo fece, in poco più di cinque minuti. Solo allora si appoggiò allo schienale della sedia ed alzò gli occhi verso di me. Mi sorrise, soddisfatta dello stupore che leggeva nei miei occhi.
"Bene, la pizza era veramente buona. Potrebbe essere l'inizio di una bella amicizia." Sorrisi a mia volta.
"Glielo avevo detto. Se le fa piacere, posso passare anche ogni sera. Magari non saranno sempre otto." Non rispose: continuava a fissarmi con quei penetranti occhi azzurri, e io iniziavo a sentire quella strana sensazione che mi aveva preso allo stomaco la mattina.
"Sei proprio diventato un bel ragazzo, Jason. Fai sport?"
"Vado in palestra di tanto in tanto,” dissi. “Giocavo a baseball al college, abbastanza bene anche, ma ora non ho tempo. Qualche partitella tra amici, nel weekend..." Continuava a guardarmi, annuendo con la testa.
"E lei, signora Partridge, cosa fa nella vita?" Si mise a ridere, improvvisamente.
"Cosa faccio nella vita? Vuoi veramente saperlo?"
"Beh, mi piacerebbe." Lanciò le braccia in alto stiracchiandosi e sbadigliando: portò la mano alla bocca per soffocare un rutto, prima di rispondermi.
"Io faccio divertire gli uomini." Continuava a emettere risolini mentre lo diceva, e la cosa mi parve piuttosto strana. Ripetei le sue ultime parole, come un perfetto imbecille.
"Divertire gli uomini?"
"Già. Divertire gli uomini. Si divertono veramente un sacco."La guardavo con aria interrogativa, continuando a non capire.
"Cioè, fa delle specie di spettacoli comici?" A quel punto scoppiò in una vera risata che sembrava non finire più. Alla fine si ricompose.
"Sei proprio simpatico, Jason. Sì, faccio degli spettacoli.” Stette un attimo in silenzio, poi disse: “Vuoi che ti faccia vedere?" Annuì con la testa: non sapevo sinceramente cosa aspettarmi. Si protese verso il tavolo, allungandomi le mani.
"Okay, allora dammi la tua mano destra e chiudi gli occhi. Feci come mi aveva chiesto: sentii le sue mani prendere la mia, massaggiarne il palmo mentre mi parlava dolcemente.
"Quanti chili pesi, Jason?"
"Ottantadue chili, signora Partridge."
"Bene. Quindi circa un terzo di quello che peso io. Ora, di solito il mio spettacolo inizia così. Mi raccomando, non aprire gli occhi fino a quando non te lo dico io." Sentii il cassetto del tavolo aprirsi, ed un leggero rumore metallico: poi qualcosa di freddo che mi si stringeva al polso, scattando. Non riuscì a resistere e guardai la signora Partridge che si stava serrando l'altro bracciale delle manette al polso sinistro.
"Ma cosa sta facendo?" Lei mi fece un sorriso, che voleva essere tranquillizzante, ma che non ebbe nessun effetto. Non che avessi paura, ma la situazione era diventata di colpo strana e inquietante.
"Forse è meglio che vada: devo riconsegnare il furgone e sono già in ritardo." dissi.
"Eh no, caro Jason: quando si inizia lo spettacolo poi bisogna goderselo fino alla fine. Su alzati." Si era alzata, girando lentamente intorno al tavolo. Aveva smesso di ridere e il tono era improvvisamente cambiato. Quando vide che non eseguivo mi diede uno strattone che quasi mi slogò la spalla.
"Su Jason: se collabori un poco sarà anche più divertente."Quando vide che non obbedivo si diresse verso il divano, e io caddi letteralmente dalla sedia. Mi trascinò senza nessun apparente sforzo, fino ai piedi del divano, con la stessa facilità con cui avrebbe potuto portare un cane a passeggio. Riuscii a dire qualcosa.
"Guardi che non fa ridere signora Partridge!" Lei rispose con tono piatto, senza guardarmi: aveva preso il telecomando e spento il televisore.
"Non ho detto che fa ridere: ho detto che è divertente." Con un altro paio di strattoni mi invitò ad alzarmi.
"Su, calati i pantaloni."
"Come, scusi?" Lei sbuffò.
"Jason, sei un bravo ragazzo, ma ti ricordavo un pò più sveglio. Sfilati i pantaloni e le mutande e siediti sul letto, svelto."
Obbedii. Buttò un occhiata tra le mie gambe. Sembrava soddisfatta.
"Vedi che alla fine lo trovi divertente anche tu?" In effetti il mio affare, a mia insaputa, era diventato rigido come un pezzo di legno. Alzai gli occhi e vide che si stava slacciando il nodo che fermava la tunica sulla spalla sinistra: cadde a terra, e rimasi paralizzato ad ammirare il suo corpo completamente nudo, di fronte a me. Era immensa. Vederla vestita non rendeva l’idea di quanto fosse obesa. I suoi fianchi coprivano interamente lo schermo del televisore 45 pollici: il suo ventre era grosso come un otre, tanto da coprirle parte delle cosce, e sopra di esso poggiavano le enormi mammelle, due montagne di carne bianca e lucida, sormontate da due gigantesche areole rosate e due capezzoli appena in rilievo. Non avrei potuto sollevarne una nemmeno con due mani, pensai.
Ma l’idea che trasmetteva non era quella di un corpo flaccido, anzi; mi vennero alla mente quei lottatori di Sumo giapponese, giganteschi, compatti e massicci.
“A questo punto, di solito i miei clienti mi fanno un sacco di complimenti, Jason.” Ero esterrefatto: dalla sua enormità e dal fatto che mi sentissi eccitato come quando avevo dodici anni. Mi sembrava che non avesse alcun senso avere l’uccello duro davanti ad un simile spettacolo: ma tanto era. Non dovette gradire il mio silenzio, perché mi dette una manata sul torace, sbattendomi sul divano. Poi la vidi appoggiare un ginocchio sui cuscini, alzare una grossa coscia sulla mia testa e montarmi a cavalcioni sul torace, dandomi la schiena. Ogni suo movimento era lento e misurato, come quello di un pachiderma. Si sedette su di me, e i suoi colossali glutei si adagiarono sul mio corpo, facendomi sentire tutto il loro peso. Ripeté la domanda con un tono di voce più alto.
“Allora Jason: non hai niente da dire? Non ti piace il mio corpo?”
“E’… sì mi piace,” dissi titubante.
“Non ti sento convinto, Jason. Devo confessarti di essere una donna un poco suscettibile, e non mi piace non essere apprezzata per quello che sono.” Si appoggiò con le mani sulle mie cosce, si alzò leggermente e spostò il suo bacino sulla mia testa: poi si adagiò nuovamente, e il mio viso fu coperto dal largo solco delle sue enormi natiche. A quel punto non vedevo e non sentivo più niente, se non il suo incredibile peso su di me. Cercai di respirare, ma ero completamente sepolto sotto la sua carne: dopo un lasso di tempo che mi parve interminabile si rialzò. Respirai affannosamente, come un uomo che riemerge dalle profondità del mare. Provai ad inarcare la schiena, a divincolarmi ma tutto era inutile: i suoi duecentocinquanta chili non si sarebbero mossi se non quando lo avesse deciso lei.
“Allora, Jason?” risposi più in fretta che potevo
"Si... Signora Partridge, non riesco a respirare: lapregostosoff..." Fui nuovamente sommerso dai suoi glutei, grossi e pesanti come macigni. Questa volta l'apnea durò molto di più, e pensai seriamente di non uscirne vivo. Quando si rialzò stavo ansimando come un mantice.
"Ora ti faccio sentire veramente cosa vuol dire essere sotto una donna di duecentosettantacinque chili." Si piegò in avanti, e il suo corpo mi ricoprì completamente: il suo ventre gonfio si adagiò sulla mia pancia, e le gigantesche mammelle sulle mie cosce. La sentii espandersi, come una calda e pesante massa gelatinosa. Avrei respirato, se solo fossi riuscito a muovere la cassa toracica ma il suo peso mi stava schiacciando come una noce.
Eppure, nonostante il dolore che stavo provando in tutte le giunture del mio corpo, il calore e la morbidezza della sua carne, il profumo della sua pelle erano estremamente eccitanti. Si alzò sulle ginocchia, sollevando il bacino e lasciandomi respirare. La sentii dire:
"Eppure ti piaceva guardarmi mentre prendevo il sole nel giardino dietro casa. Non è vero Jason?"
"Ma io... Veramente non so di cosa parli."
"Ts ts ts, Jason non mi fare arrabbiare." Si adagiò nuovamente su di me, affondando le sue natiche ancora una volta.
"Allora, non è vero che passavi interi pomeriggi a guardarmi e a toccarti il pistolino?" Sentivo la sua voce attutita, come se provenisse da molto lontano.
"Ora mi alzo un pochino, e voglio sentirti ammettere che impazzivi per il mio corpo, per il mio seno e per il mio sedere." Così fece, e appena ebbi abbastanza fiato per rispondere ammisi.
"Ha ragione signora Partridge: ero innamorato pazzo di lei; adoravo vederla sdraiata, mentre si spalmava la crema e si dava lo smalto alle unghie!"
"Bravo Jason: io apprezzo molto la sincerità nelle persone. Ora dimmi sinceramente: ero meglio allora o sono meglio adesso?"
Per un momento pensai che dalla mia risposta dipendesse la mia stessa vita. Ma restai in silenzio un attimo di troppo, perché il sedere della signora Partridge calò nuovamente su di me, e vi rimase fino a quando non sentii le forze mancarmi. Mi dibattei, come un pesce preso all'amo, ma in nessun modo avrei potuto uscire da sotto quella valanga di carne. Quando la sentii sollevarsi presi fiato, e dissi esattamente ciò che stavo pensando in quel momento.
"Signora Partridge, la supplico. Allora ero solo un ragazzino e lei era la prima vera donna che avessi mai visto in costume da bagno: ma le devo dire in tutta sincerità che il suo corpo ora è qualcosa di incredibile, unico e straordinario. Adoro la sua pesantezza, la sua forza, la sua morbidezza; adoro sentire il contatto della sua pelle con ogni centimetro del mio corpo. Io vorrei montarle sopra, come si scala una montagna, e scoparla fino a farla godere e urlare di piacere."
Si sollevò, finalmente. Rimase a carponi sopra di me, con il suo ventre adagiato sul mio corpo.
"Ti ringrazio, Jason. Noi donne siamo molto sensibili ai complimenti"  La sua voce aveva riacquisito quel tono dolce della prima parte della serata.
“Purtroppo non ti posso accontentare: io non sono una puttana, faccio solo divertire gli uomini..." Si era alzata in ginocchio, aveva preso la chiave delle manette dalla catenina che teneva al collo e mi aveva liberato il polso.
"Ma in onore della nostra ritrovata amicizia, ti lascerò un piccolo ricordo." La senti sbattere le grosse mammelle una contro l'altra: la carne contro la carne produceva uno schiocco sonoro che faceva intuire la incredibile pesantezza di quei seni mastodontici. Li avvolse attorno al mio cazzo, ed iniziò a comprimerle tra loro, massaggiandole una contro l'altra. Da sotto il suo corpo non potevo vederla, ma ciò che provai in quei pochi minuti fu la più bella esperienza sessuale della mia vita. Venni a ripetizione, e i fiotti di liquido caldo si sparsero tra il profondo solco di quelle montagne di morbida carne. Alla fine si alzò, prese un asciugamano da una sedia e me lo buttò.
"Su, datti una pulita, vestiti e levati di torno che devo farmi una doccia." Si era già messa indosso la tunica nera.
“Sì, certo signora Partridge.” Annuii, ma non sapevo da che parte iniziare. Mi sentivo come se mi fossero passati sopra con un camion. Alla fine riuscii a mettermi a sedere e da lì in piedi. Mi infilai i pantaloni e stetti lì in mezzo al soggiorno. Mi guardava, come in attesa di un mio cenno di saluto.
"Signora Partridge..."
"Si, Jason?"
"Le pizze: se le fa piacere posso passare, qualche volta."
"Certo Jason: mi farebbe molto piacere."
"Va bene, allora magari sabato sera," poi soggiunsi a bassa voce: "Signora Partridge, io non ho mai avuto un esperienza così eccitante e coinvolgente come quella di stasera..."
"Puoi venire quando vuoi, Jason. Naturalmente è come con le pizze: il primo giro è offerto dalla casa. Ma sono contenta che ti sei divertito. Torna a trovarmi, okay?"

Uscii nel buio della notte, misi in moto e me ne andai. Abbassai il finestrino e mi gustai l'aria fresca sul viso. Mi sentivo euforico. Il primo pensiero che mi venne fu per Barbara; sabato sera avremmo dovuto andare fuori a cena e finire la serata a casa sua.
La immaginai sopra di me, a dimenarsi con i suoi miseri cinquantacinque chili di fisico snello ed elegante, con i suoi seni piccoli e tondi e la sua vita che potevo stringere tra le mie due mani. Non era proprio il caso: sabato sera avevo cose più serie di fare.
“Jason?”
“Barbara?”
Si può sapere che fine hai fatto ieri sera? Ti ho chiamato per due ore!”
Me ne stavo ancora a letto, completamente assonnato e con nessuna voglia di alzarmi. Il tono della voce di Barbara mi riportò bruscamente alla realtà. Già cosa avevo fatto la sera prima? Poi, in un istante, mi ritornò tutto in mente. Il problema ora era cosa inventarmi, lì sul momento.
“Oh tesoro, mi dispiace. Sono tornato dal lavoro stanco morto, veramente uno straccio e non mi sentivo affatto bene. Avrei dovuto chiamarti, ma sono crollato dalla stanchezza.”
“Beh? E nemmeno un messaggio? E io che stavo qui ad aspettarti? Non ci hai pensato?”
“Aspettarmi? Non mi ricordo… dovevamo vederci? Perché…” La sua voce, ormai isterica, mi interruppe.
“Senti, vaffanculo Jason: richiamami quando ti sei schiarito le idee.” Seguì un breve silenzio.
“E, tanto per chiarire, fino a quando non dimostri di avere rispetto di me puoi anche non farti più vedere. E non chiamarmi per uscire sabato, che ho già preso un impegno, chiaro?” Era una sua caratteristica quella di finire le frasi con una domanda, per la quale ovviamente non era richiesta nessuna risposta. Così risposi solamente ‘okay’, quando lei aveva già riagganciato.
Provai ad alzarmi, e i dolori che sentivo in tutto il corpo mi riportarono immediatamente a quello che era successo la sera prima. La signora Partridge, il suo corpo enorme, le sue natiche gigantesche, le sue mammelle mostruose… sentì il mio affare drizzarsi al solo pensiero. Avevo bisogno di una doccia fredda, e di riflettere su quello che era successo.
Se non altro un problema era già risolto: sabato sera ero libero come un uccello. Perché una cosa mi era chiara; io dovevo rivedere la signora Partridge.
Mentre mi vestivo, stavo cercando di capire il perché. In un certo senso ero disorientato dalla mia reazione. Non avevo mai pensato in vita mia di avere una relazione sessuale con una donna di quelle dimensioni: non ne ero mai stato attratto. Anzi: quando ne vedevo una, per strada, sentivo quasi un moto di compassione per quella persona che doveva portarsi in giro un fardello del genere. E se probabilmente lei mi avesse fatto delle avances, me ne sarei andato da casa sua a gambe levate. Eppure, di fronte a lei, con quegli occhi azzurri che sembravano leggermi nel pensiero, che stuzzicavano i miei ricordi di ragazzino arrapato; di fronte alla sua determinazione nel prendermi e sbattermi sul divano, nel montarmi sopra con facilità e naturalezza, mi ero sentito completamente disarmato. Ecco, forse la cosa che mi aveva eccitato di più, in tutta la faccenda, era che per mezz’ora ero stato ridotto completamente al suo volere. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa di me e del mio corpo: mi avrebbe potuto schiacciare, probabilmente, soffocare fino alla morte, se avesse voluto. Era una sensazione unica e difficilmente descrivibile: la sottomissione a lei, il dolore fisico che avevo provato, il pensiero di essere completamente asservito alla sua volontà. E alla fine, la ricompensa per le mie sofferenze, la sua carne che mi eccitava fino a farmi godere.
Guardai l’orologio: mi restavano dieci minuti per presentarmi in pizzeria ed iniziare con il turno del pranzo.

Mancavano due giorni a quel sabato sera: e in tutta sincerità penso di avere passato almeno trenta di quelle quarantotto ore pensando a lei. Notti comprese. Non riuscivo a togliermela dalla testa, qualunque cosa facessi.
Ripercorrevo ogni istante della serata precedente, come fosse un film, cercando di ricordare ogni particolare. E vivevo in uno stato di perenne, inspiegabile eccitazione. In un certo senso era stato un bene avere litigato con Barbara, perché a lei certe cose non sfuggivano, e non sarebbe stato facile inventare una bugia per giustificare il mio stato d’animo.
Arrivai addirittura a sognarla, la signora Partridge. Cosa questa incredibile, perché non avevo fatto un sogno erotico in chissà quanto tempo. E invece mi comparve nel sonno: aveva indosso lo stesso bikini rosso a fiori con cui prendeva il sole tanti anni prima, solamente di dieci o venti taglie più grande. Mi avvicinavo a lei, stessa di pancia sotto il sole, con le mammelle adagiate a fianco del torace imponente. Mi diceva: “Bravo Jason, lo sapevo che saresti venuto. Per favore, montami sopra e spalmami la crema solare. Dappertutto, mi raccomando. Io obbedivo, mettendomi a cavalcioni sopra i suoi enormi glutei, e mentre la massaggiavo il suo corpo sembrava espandersi, diventando sempre più grande. Nel sogno non provavo eccitazione: piuttosto uno stupore ed una felicità fanciulleschi: cavalcavo un enorme donna, che aveva raggiunto le dimensioni gigantesche di un elefante. “Ora basta, Jason; vieni giù da lì sopra e lasciami riposare” diceva: e io obbedivo, rimanendo lì a fianco ad ammirarla.
“Signora Partridge…”
“Sì, Jason?”
“Io… io vorrei fare l’amore con lei….” A quel punto iniziava a ridere: una risata grassa e fragorosa, fino  alle lacrime, ed il suo corpo era percorso da fremiti che le facevano vibrare la carne in ogni parte del corpo. Mi accarezzava, con una mano grande tre volte la mia.
“Ma Jason, io non sono una puttana. Io faccio solo divertire gli uomini… E poi tu sei ancora piccolo, Jason.”

Quella seconda volta mi premurai di chiamare prima di arrivare. Mentre il telefono squillava sentivo crescere il timore che non fosse in casa. E invece mi rispose con la sua voce dolce e vellutata.
“Ciao Jason. Verso mezzanotte e mezza va bene. Prima ho da fare un po’ di cose; allora ti aspetto…” Mancavano ancora un paio d’ore e otto consegne a domicilio: e da quel momento mi sembrò che il tempo non passasse mai. Mi presentai di fronte alla sua porta di casa forse appena in anticipo e suonai.
“E’ aperto.” Entrai, e quando la vidi adagiata sul divano, come la volta precedente, mi sentii al settimo cielo. In realtà lei non sembrava tanto felice di rivedermi. Neanche scontenta: continuò a guardare la televisione, mentre mangiava una ciambella dolce presa da un cartone posato sul tavolino di fronte a lei.
“Posso entrare?” dissi timidamente.
“Certo Jason, entra pure. Appoggia pure tutto sul tavolo. Anzi, se non ti spiace, preparami le pizze. Hai visto come ho fatto io l’altra sera, no?”
“Certo, signora Partridge.” Eseguii, aprendo il frigorifero e impilando le pizze; le infornai ed attesi che fossero calde. Quando il campanello del microonde suonò le estrassi, le tagliai in otto parti e le appoggiai sul tavolo.
“Scusa Jason, portamele qui sul tavolino per favore.” Fece un cenno con la testa verso il televisore. “Questo programma mi fa proprio impazzire.” Buttai l’occhio: stava guardando uno show, uno dei più beceri ed insulsi trasmessi dalla televisione via cavo. Di quelli in cui due donne, circondate dai loro familiari,  mariti o amanti o entrambi, litigano in diretta fino a quando non si passa alle mani. Si degnò di guardarmi solo quando interruppero la trasmissione per la pubblicità. E il suo sguardo non faceva trapelare nessuna emozione.
“Allora, come è andata la giornata?”
“Bene, signora Partridge. Le pizze non erano tante, soltanto sei: così ho pensato di portarle questi.” Mi ero fermato per strada in un drugstore ed avevo comprato la più grossa scatola di cioccolatini che avessero. La guardò con aria annoiata, poi mi fece cenno di allungargliela.
“Spero le piacciano: sono alla vaniglia…” Aveva iniziato a scartare la scatola: la aprì e ne vuotò il contenuto in una ciotola vuota che aveva davanti. Li prese a manciate, infilandoli in bocca dieci alla volta e lì fini in meno di un minuto. Poi passò alle pizze,; mi sedetti in silenzio nella poltrona di fronte a lei. Rimasi paralizzato dalla scena, come la sera precedente: vederla mangiare era un vero e proprio spettacolo. Non la interruppi; fu lei, quando finì lo spuntino, che mi guardò, quasi distrattamente.
“E a lei, come è andata la giornata, signora Partridge?” Non mi rispose. Si alzò in piedi ed andò al frigorifero: ne estrasse un contenitore di latte da cinque litri. Lo sollevò, portandolo alla bocca con una mano e ne bevve un bel sorso. Non era facile, nemmeno per me, e dovette notare il mio stupore , perché l’appoggiò e mi chiese: “ Qualcosa non va?”
“No, no: è solo che quella tanica…” Lo guardò perplessa.
“Cosa?”
“E’ pesante, per una donna come lei.”
“Vuoi sapere una cosa, Jason? La gente mi vede come una donna obesa, ma dimentica che per portare in giro duecentosettantacinque chili bisogna anche avere dei muscoli.” Stava venendo verso di me, con la sua lenta andatura.
“Su dammi la mano.”
“Come, scusi?” Sbuffò.
“Prendi la mia mano destra e stringi con tutta la forza che hai.” Mi alzai in piedi esitando ed eseguii l’ordine. Feci una leggera pressione, convinta che lei mi avrebbe chiesto di smettere. E invece per tutta risposta sollevò ancora il contenitore del latte e bevve una lunga sorsata. Poi l’appoggiò sul tavolino.
“Non ti sento, Jason.” Strinsi sempre più forte, fino a ché i tendini del mio avambraccio non furono tesi come corde. Mi guardava dritto negli occhi, quasi sorridendo. Poi iniziò a stringere lei: le sue dita divennero una morsa, e a poco a poco sentii il dolore crescere, fino a diventare insopportabile. Iniziai a sudare freddo: non volevo mostrare la sofferenza che stavo provando, ma la sua stretta faceva un male del diavolo. Alla fine dovetti cedere.
“Va bene, ho capito cosa intende, signora Partridge; è veramente forte come presa…”
“Non sto stringendo, Jason; posso fare di meglio.” Strinse ancora di più e il dolore che sentivo divenne una fitta lancinante, quando la sentii dire: “Inginocchiati.” Obbedii senza discutere. In quel momento ero letteralmente terrorizzato da lei. La guardai, da sotto in su e mi parve ancor più gigantesca.
“Quanti soldi hai in tasca, Jason?” Pensai mentalmente all’incasso della serata e risposi.
“Circa duecento dollari, signora Partridge.”
“Sfilati il portafoglio e dammelo.” Eseguii, allungandoglielo con la mano libera. Lo prese e lo buttò sul tavolo. Mi fece cenno di alzarmi; poi, con estrema facilità, mise un braccio tra le mie gambe e mi sollevò in aria, scaraventandomi sul divano.
"Stasera le manette non servono, vero Jason?" Feci di no con la testa.
"Bene. Allora spogliati. In fretta." eseguii ciò che mi aveva ordinato e rimasi nudo, steso sul divano. La signora Partridge aveva preso un elastico dal polso e si stava raccogliendo i capelli neri in una lunga coda. Mi guardava, con aria assente: non sembrava provare la minima emozione nei miei confronti. Poi parlò.
"Quindi ti piacerebbe scoparmi, hai detto l'altra sera... montarmi sopra e farmi godere, fino a farmi urlare di piacere." La fitta allo stomaco si era trasformata in un brivido che mi stava percorrendo
tutto il corpo. Il mio cazzo era duro ed eretto come un pezzo di legno, e non potevano esserci dubbi sul fatto che fossi eccitato come un animale in calore.
"Io... Io la trovo estremamente attraente, signora Partridge."
"Non dire bugie, Jason."
"No, lo penso veramente."
"Balle. Non saresti capace di ripetere queste parole di fronte a nessuno di tua conoscenza. Sei un piccolo ipocrita, come tutti." Si slacciò la vestaglia e la fece cadere a terra. Ancora una volta rimasi a bocca aperta. Il suo corpo era una montagna di carne morbida e rosea. Le sue gigantesche mammelle ondeggiarono lentamente, mentre si chinava verso il divano e si metteva a cavalcioni sul mio torace.
Sentii il suo peso su di me, il suo calore, il suo respiro. Da sotto di lei i suoi grossi seni parevano ancor giganteschi come due dirigibili. Ebbi ancora la forza di dire:
"Signora Partridge, glielo giuro: io la trovo bellissima e sono pronto a dirlo a chi vuole." Sembrava non ascoltarmi nemmeno: si piegò in avanti e mi sommerse completamente il viso con il suo ventre debordante. E di nuovo provai quella sensazione di paura ed eccitazione portata allo spasimo. Era pesante, tremendamente pesante.
Con le mani, questa volta libere, cercai in qualche modo di sollevarla.
"Fai il bravo Jason. Tieni le mani a posto e io non ti farò alcun male. Ma se mi fai arrabbiare..." Il suo peso su di me aumentò ancora di più, facendomi gemere dal dolore. Staccai subito le mani ed iniziai a mugolare.
"Bravo, vedo che hai capito: cosa c'è, vuoi dire qualcosa? Ora mi alzo un pochino."
"Signora Partridge, la prego; se continua così mi ammazza. Voglio solo toccarla, massaggiarle questo corpo incredibile, grande e morbido."
Per tutta risposta afferrò il bracciolo del divano, si fece più avanti e si posizionò proprio sulla mia testa. Rimase sospesa un attimo, e respirai a pieni polmoni l'odore della sua vagina che avevo proprio sopra di me. In mezzo a quelle cosce gigantesche pareva piccola e delicata, con appena un pò di peluria attorno. Ma subito dopo il suo bacino si abbassò, le cosce si strinsero e fu il buio completo. La sentii dire.
“Bene Jason: allora facciamo un patto. Se sei così convinto di riuscire a farmi sentire qualcosa, dimostramelo e io ti lascerò uscire vivo da lì sotto. Altrimenti, sarai solo un piccolo uomo mediocre, e io non avrò pietà per te. Non saresti il primo, sai? Su, fai vedere alla signora Partridge di cosa sei capace.”
Si era sollevata appena un poco, permettendomi di respirare: iniziai a leccarla: a leccare quelle labbra paffute, a seguirne il contorno. Attendevo una sua reazione, ma lei se ne stava sopra di me, ferma e immobile.
“Non ti sento Jason. E tu vorresti scoparmi, piccolo?” Strinse le gambe e si appoggiò sul mio viso. Ero spaventato a morte, eppure continuavo a succhiarla, a cercare di penetrarla con la lingua.
“Mi stai facendo appena il solletico.” Mi mancava il respiro e con esso le forze: pensai seriamente che mi avrebbe ucciso, senza troppo sforzo, come si sopprime un cucciolo. Eppure continuavo ad essere eccitato: la sua vulva aveva iniziato a bagnarsi, a gonfiarsi ed espandersi. Trovai il clitoride, gonfio e turgido, e lo strinsi tra le labbra delicatamente. Lo succhiai avidamente, stuzzicandolo con brevi colpi di lingua, e finalmente sentii una sua reazione. La sentii gemere sopra di me, appena un sospiro più pronunciato, e questo mi diede la forza di continuare. Non disse niente, ma il movimento del suo bacino mi faceva capire che mi stava sentendo. Poi i gemiti divennero un mugolio di piacere, appena sussurrato, e crebbero di intensità. Iniziò a muoversi più velocemente sopra di me ed il divano incominciò ad ondeggiare come una barca. Ero sepolto, sotto due quintali e mezzo di carne, completamente cieco e non mi ero mai sentito così inerme ed indifeso. E tuttavia, la certezza di riuscire ad eccitare la signora Partridge era così inebriante da farmi sentire l’uomo più felice della terra. Non era solamente una pulsione sessuale: era la piena gratificazione del mio desiderio di farla godere e di meritare la sua riconoscenza. La succhiavo, come si succhia un frutto maturo, e lei aveva iniziato a ondeggiare e a gemere in modo incontrollato. Poi i suoi movimenti si fecero più decisi: sentii il divano muoversi sul pavimento. Ero in preda ad una forza della natura unica: uno donna enorme che stava godendo sopra di me, muovendosi e dimenandosi. Avrei pagato non so cosa, in quel momento per guardarle il viso, per vedere cosa stava provando. Ma il mio unico pensiero in quel momento era leccarla, leccarla e succhiarla più che potevo, con tutte le forze che mi erano rimaste in corpo. Urlò: un urlo forte e strozzato, e quella fu l’ultima cosa che sentii prima di perdere conoscenza.

Ancora adesso non so cosa successe esattamente un quei tre strani giorni della mia vita.
Cosa era quell’attrazione irresistibile che avevo provato per la signora Partridge? Era forse solo la fortuita e fortunata conclusione di una fantasia che avevo avuto tanti anni prima, come il compimento di un sogno? O non era piuttosto qualcosa di estremamente più profondo, qualcosa che si avvicinava al sentimento più alto e nobile che comunemente viene detto amore?
Intuivo allora in modo confuso, senza comprendere pienamente, che la mia attrazione verso la signora Partridge aveva un ché di primordiale: era la devozione che si prova verso una persona da cui dipende la tua sorte, le tue emozioni, la tua vita stessa. Era il desiderio che tutti noi abbiamo di essere protetti, accuditi, allevati. E’ un sentimento che, a ben pensarci, si può paragonare solo all’amore di un figlio verso la madre.
E tuttavia le parole che mi aveva detto quella sera, sul fatto che non avrei avuto il coraggio di ammettere i miei sentimenti nei suoi confronti davanti a nessuno di mia conoscenza, mi colpirono come un pugno nello stomaco. Perché esprimevano una profonda disillusione negli uomini, e soprattutto una profonda verità.
Non vidi più la signora Partridge, ma non vi erano dubbi che il mio coinvolgimento fisico, mentale ed emotivo in quella relazione fu totale ed intenso come non mai. Così forte da fare apparire ogni altra relazione avuta in precedenza o successivamente totalmente priva di interesse. In quei giorni avrei fatto qualsiasi cosa per quella donna: mi sarei prostrato ai suoi piedi, mi sarei umiliato completamente di fronte a lei e sarei stato felice se solo ne avessi avuto in cambio un poco di riconoscenza. Ed invece lei mi aveva dato molto di più: mi aveva offerto il suo corpo e la parte più intima di se stessa.

Quando ripresi conoscenza era china sopra di me, e mi stava fissando con quegli occhi azzurri così profondi.
 “Vuoi sapere perché e come sono diventata una donna di duecentosettantacinque chili, vero? Probabilmente mi consideri una povera signora di mezza età con un serio disturbo alimentare, che non riesce a controllare il proprio appetito. Ma non è così. Io ho scelto di essere quello che sono.”
 “Dopo la morte di Martin ho avuto diversi uomini nella mia vita. Relazioni brevi, tumultuose, spesso violente. E ad ogni delusione mi sentivo sempre più inadeguata: pensavo di non essere più in grado di avere un rapporto serio con chicchessia. Iniziai a mangiare in modo incontrollato: a tre anni dalla sua scomparsa ero già centocinquanta chili, e alla mia frustrazione si aggiungevano i sensi di colpa per questo mio corpo che stava ingrassando così velocemente.” Si fermò un attimo, forse indecisa se continuare; infine proseguì.
“Poi un giorno un uomo mi abbordò, in un bar. Mi disse che ero una donna straordinaria, che avevo un fisico fantastico e sciocchezze del genere. Lo mandai a quel paese, ma lui insistette. Fino a quando non cedetti. La relazione non fu niente in tutto, ma mi fece capire una cosa molto importante: che c’erano un sacco di uomini che avrebbero fatto qualsiasi cosa per portarmi a letto. E io li accontentai. ” Sospirò.
“Ognuno di noi ha bisogno di dare un senso alla propria vita, e questo è il mio. Potrà sembrare stupido o perverso, non so. Ma ho deciso di essere quello che sono. Una grassa, grossa donna pesante che può regalare emozioni che nessuna altra donna può dare.”
Mi guardò un’ultima volta, sorridendomi.
 “E’ stato bello. Jason. Ora prendi il tuo portafoglio ed esci di qui. E non farti più vedere.” Obbedii, ovviamente.
Ero profondamente grato alla signora Partridge, perché aveva consapevolmente scelto di essere quello che era, e di farmi dono di se stessa: perché lei, tra la leggerezza e la pesantezza, aveva scelto la pesantezza.